«Affrontare la sfida di creare una piccola azienda con la voglia di puntare principalmente sulle relazioni. È questo lo spirito con cui è la nata la mia Ti.Emme consulting». Michela Tuia è la fondatrice della srl nata a Milano nel 2015. Ha le idee chiare e la personalità determinata di chi vuole essere protagonista del cambiamento per le imprese. «La vision è essere riferimento per tutte le organizzazioni orientate all’eccellenza, dove il progresso dell’impresa è in stretta relazione con il benessere dei suoi dipendenti». Benessere sembra dunque la quinta parola chiave, che assieme a responsabilità, trasparenza, integrazione ed eccellenza accompagna i processi della Ti.Emme.
Il suo slogan è «Soluzioni per competere». Ma per lei cos’è la competitività?
«La competitività la prendo dal motto Scout che tanto mi appartiene e al quale sento di appartenere profondamente: è fare del mio meglio. Siamo qui per produrre e in maniera sana».
Questo significa anche non mollare mai?
«Faccio un piccolo passo indietro nel tempo. Il Covid ha cambiato profondamente il punto di vista di ognuno di noi. La mia esperienza è stata che, per motivi vari, nel 2022 mi sono ritrovata da sola a gestire l’azienda. La domanda che mi sono posta è stata: che fare? Prima di quel down eravamo in sette, oggi siamo in quattro più circa 50 tra docenti e consulenti esterni».
Con quale tipo di impresa si confronta la vostra formazione?
«Oggi il mercato delle imprese è complesso e variegato. Sicuramente c’è molta attenzione alle risorse umane, ma le richieste con le quali ci confrontiamo e le proposte che offriamo, molto e spesso, dipendono dalle dimensioni delle aziende. Se per le multinazionali le regole in materia di formazione sono molto rigide, per le piccole e medie imprese italiane vale la regola che se metti le persone al posto giusto i risultati si vedono. Un settore sul quale ci siamo molto specializzati è quello sanitario. Con una particolare attenzione all’umanizzazione delle cure. Anche e specialmente qui il valore della relazione e dell’attenzione diventano fondamentali. La formazione in questo caso, per esempio all’interno delle Rsa, punta a generare empatia, relazioni ospite-utente e in équipe. L’obiettivo è, grazie al nostro metodo, quello di registrare o avvicinarsi il più possibile a “infezioni zero” all’interno dei presidi sanitari».
Mettere al centro la persona: quanto conta in questa visione l’essere un’imprenditrice donna? E quanta resistenza c’è ancora nei confronti delle donne imprenditrici?
«Sulle pari opportunità non ci siamo. Lo vedo da imprenditrice donna. C’è ancora molta resistenza a considerare l’opinione di una donna al pari di quella di un collega nella stessa posizione manageriale o professionale. E poi la destrutturazione di stereotipi del tipo bella uguale stupida è ancora lontana. Il problema non viene solo dagli uomini, noi donne spesso facciamo fatica a essere solidali tra noi. Sulla scorta della mia esperienza posso dire che determinazione e costanza possono fare la differenza ma è una consapevolezza che deve partire da noi stesse. Colgo anche una differenza di immagine: l’uomo è identificato come autoritario, alla donna spetta la credibilità. E su questo possiamo e dobbiamo fare leva. D’altro canto, per tornare al cuore della mia azienda, la formazione è per natura femminile e qui torno ancora all’aspetto della cura e dell’accoglienza».
Qual è, per lei, il valore principale per essere un imprenditore illuminato o comunque un lavoratore competente?
«Quello che sei è anche quello che fai. Soft skills: tra le competenze trasversali la più importante è imparare le relazioni. La buona formazione d’impresa passa da qui. La tecnologia aiuta ma la costruzione delle relazioni resta il centro nodale della costruzione di un buon presente e di un ottimo futuro».