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Piano Mattei, la sfida italiana e i dubbi dei partner africani

di Giulia Calvaruso
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di Laura Lomonaco

Con il Piano Mattei l’Italia si lancia in un audace tentativo per trasformarsi in protagonista di una nuova era di cooperazione con l’Africa. Tuttavia, il rischio di naufragare sotto il peso di promesse non mantenute e ambiguità operative non manca. Resta da capire se il governo Meloni porterà risultati concreti nella politica estera africana dell’Italia o se questa iniziativa sia una «scatola vuota». 

Una nuova strategia

Negli ultimi anni, la strategia internazionale italiana ha subito una significativa trasformazione, con un rinnovato interesse verso la costa meridionale del Mediterraneo, il Sahel e l’Africa Subsahariana, territori a lungo trascurati da Roma. Questo cambiamento si è verificato in un contesto di crescente emergenza migratoria, dopo la caduta di Gheddafi, che ha portato l’Italia a gestire un notevole aumento di migranti provenienti dall’Africa. Dal 2011 in poi, i governi italiani hanno concentrato i loro interventi nella regione sull’obiettivo di contenere le ondate migratorie. Tuttavia, l’ascesa di Giorgia Meloni al potere ha segnato un cambiamento nell’approccio dell’Italia verso l’Africa. Sin dall’inizio del suo mandato come presidente del Consiglio dei ministri, Meloni ha manifestato la propria volontà di ridefinire il ruolo internazionale del Paese, adottando una postura più assertiva nella gestione delle complesse dinamiche africane. Con l’attuale governo, l’Italia sembra aver finalmente riconosciuto che un approccio puramente securitario al fenomeno, senza affrontare le cause profonde che spingono i migranti a lasciare i loro Paesi d’origine, è insufficiente per ridurre i flussi migratori. Questo cambiamento di prospettiva ha dato luogo a un’intensa attività diplomatica verso l’Africa, evidenziata da una serie di visite di alto livello che sottolineano l’importanza della regione nella politica estera italiana. 

Obiettivi ambizioni e nodi critici

L’intento è chiaro: posizionare l’Italia come uno dei principali interlocutori tra l’Occidente e l’Africa, assumendo un ruolo di primo piano nelle relazioni europee con il Continente africano. Al centro di questa strategia c’è il cosiddetto «Piano Mattei per l’Africa», un’iniziativa che prende il nome da Enrico Mattei, primo presidente dell’Eni, e che si propone di promuovere una cooperazione più equa e paritaria con i Paesi africani.

Annunciato per la prima volta nell’ottobre 2022, il Piano incarna una visione ambiziosa e innovativa per la politica estera italiana. Meloni ha presentato questo progetto come il pilastro di una nuova diplomazia mediterranea, volta a trasformare le relazioni con i Paesi africani attraverso un approccio comprensivo e olistico. Il Piano Mattei non si limita a rafforzare i legami economici e politici con l’Africa, ma si propone anche di affrontare alla radice il problema delle migrazioni, promuovendo lo sviluppo sostenibile e la stabilità nella regione.

L’iniziativa ha rapidamente attirato l’attenzione del dibattito politico europeo, non solo per il suo potenziale, ma anche per le varie ambiguità emerse riguardo la sua realizzazione. Infatti, molti sono gli interrogativi finora rimasti senza risposta, specie riguardo ai dettagli operativi e agli obiettivi concreti del progetto. 

Le reazioni internazionali: apprezzamenti e critiche

Se il Vertice Italia-Africa di gennaio 2024 ha rappresentato un momento chiave per la diplomazia italiana, segnato dalla partecipazione di numerosi leader africani e figure di spicco delle istituzioni europee, non ha risolto i dubbi che circondano il Piano Mattei. Elemento positivo è stato sicuramente il tono entusiastico espresso dai rappresentanti delle istituzioni europee durante l’incontro. Ursula von der Leyen, presidente della Commissione europea, ha elogiato con fervore l’impegno dell’Italia nel mettere la cooperazione con l’Africa al centro della sua politica estera e della presidenza del G7. La numero uno dell’Unione Europea ha sottolineato che il Piano Mattei non solo rappresenta un significativo contributo alla partnership tra Europa e Africa, ma riflette anche una visione condivisa della prosperità globale. Lodato il progetto anche dal presidente del Consiglio europeo Charles Michel, che ne ha apprezzato l’aspetto collaborativo, in linea con l’approccio di politica estera della Ue verso l’Africa. Anche Roberta Metsola ha promosso l’iniziativa italiana definita come un’importante spinta per la cooperazione internazionale. La presidente dell’Europarlamento ne ha evidenziato l’approccio innovativo che mira a una partnership strategica e reciprocamente vantaggiosa. 

L’intervento del presidente dell’Unione Africana, Moussa Faki, ha mostrato decisamente meno entusiasmo. Faki ha espresso preoccupazioni significative, sottolineando la mancanza di consultazione con l’Ua nella fase di definizione del Piano e richiedendo che le dichiarazioni si traducano in azioni tangibili. Da parte africana infatti le riserve non sono state poche, a partire dal nome del Piano, da alcuni additato come neocoloniale. Altra problematica emersa dal Vertice di gennaio è stata poi l’assenza della società civile sia italiana che africana, che ha sollevato interrogativi sulla trasparenza e l’inclusività del progetto.

Tra l’altro, nonostante il caloroso benvenuto da parte delle istituzioni europee, dopo il Summit sono rimasti i quesiti riguardo alle modalità di realizzazione. Neanche la pubblicazione lo scorso 17 luglio dello schema di decreto del presidente del Consiglio dei ministri di adozione del Piano Mattei è riuscita a risolverli. Il documento presenta il Piano come volto al rafforzamento della collaborazione tra l’Italia e gli Stati del Continente africano, articolato su sei settori chiave: istruzione e formazione, sanità, acqua, agricoltura, energia e infrastrutture. Il Piano si basa su criteri quali efficacia; integrazione; valore aggiunto; sostenibilità; replicabilità e potenzialità incrementali, con l’obiettivo di creare progetti concreti che possano essere scalati e sostenuti nel tempo. Il testo include la presentazione di alcuni progetti pilota. La governance è basata sulla formazione di una cabina di regia che si dedicherà al coordinamento e monitoraggio delle attività, e sulla redazione di una relazione annuale da presentare al Parlamento italiano. 

Problemi di governance e sostenibilità

Varie sono le criticità che permangono però anche dopo la pubblicazione del Dpcm. Tra queste si osservano problematiche come il carattere frammentato del Piano, che rende difficile mettere in relazione la scelta di progetti all’interno di una più ampia cornice strategica. Gli interventi peraltro appaiono avere obiettivi non sempre riconducibili alle necessità di sviluppo dei Paesi africani. La mancanza di un quadro unitario rende più complesso evitare di cadere in logiche clientelari.

Anche in materia finanziaria emergono alcune ambiguità, tra cui l’insufficiente chiarezza nell’identificazione delle fonti di finanziamento che saranno utilizzate. L’assenza di trasparenza in ambito finanziario potrebbe determinare l’uso improprio delle risorse e compromettere la fiducia nell’iniziativa, oltre a ridurne l’impatto positivo. Cruciale soddisfare i requisiti di trasparenza e chiarezza, senza i quali il Piano resta immaginario e irrealizzabile.  

Ambiguità finanziaria e ruolo della società civile

A mancare è anche un meccanismo di tracciabilità di ogni progetto e dei suoi obiettivi che sia effettivo e includa enti esterni per la valutazione dello svolgimento del Piano. L’incertezza attorno alla composizione della cabina di regia ha sollevato già non poche critiche. A riguardo, importante sarà anche esplicitare il ruolo – se ne avranno uno – delle organizzazioni della società civile. Queste, se incluse, anche solo tramite consultazioni, potrebbero offrire preziosi spunti per una migliore attuazione del progetto. Al contrario, escluderle potrebbe rappresentare un grave errore sul lungo termine. 

Sfide per una cooperazione sostenibile

Ulteriori incertezze invece riguardano l’effettività della proposta di «cooperazione da pari a pari» in una prospettiva win-win, basata sulla creazione di valore aggiunto. A confermare questi dubbi sull’effettiva reciprocità della cooperazione sta il fatto che la preparazione del Piano non ha visto l’inclusione dei suoi destinatari, come sottolineato da Faki a gennaio. Il timore principale è che la proposta italiana non sia altro che una ripetizione del vecchio schema di sfruttamento delle risorse africane senza apportare benefici tangibili alle comunità locali e senza garantire una sostenibilità a lungo termine. 

A rafforzare queste preoccupazioni è l’assenza del clima come tema fondamentale dell’iniziativa. L’enfasi posta dal Piano sulla sicurezza piuttosto che sulla transizione energetica suggerisce che questo potrebbe focalizzarsi eccessivamente sulle fonti fossili. Un tale approccio potrebbe incoraggiare i Paesi africani a investire smisuratamente in queste risorse, mettendoli in una posizione precaria nel contesto dell’evoluzione delle esigenze energetiche internazionali, che spinge verso la decarbonizzazione attraverso impegni climatici multilaterali. Trascurare il clima sarebbe inoltre controproducente per l’obiettivo di riduzione delle migrazioni, visto l’aumento esponenziale del numero di migranti climatici negli ultimi anni. 

Per assicurare che il Piano Mattei non solo sia attuabile, ma anche efficace e vantaggioso per tutte le parti coinvolte, è fondamentale affrontare le problematiche individuate. 

Sfide per il futuro

Una volta risolti i problemi di definizione del progetto, occorre inquadrarlo nel contesto delle correnti dinamiche internazionali. Due sono, in particolare, le dinamiche a cui prestare attenzione. 

In primo luogo, a livello europeo è fondamentale tenere in considerazione che l’iniziale entusiasmo espresso dai vertici istituzionali dell’Unione potrebbe venire a mancare assieme alla complicità che aveva caratterizzato i rapporti con il governo Meloni nella scorsa legislatura. La conferma di Roberta Metsola come presidente del Parlamento europeo e l’elezione dei vicepresidenti parrebbe ribadire che gli equilibri nell’Ue non siano stati particolarmente sconvolti dalle elezioni. Ciò che è cambiato però è la posizione del governo italiano in questi rapporti di forza, al di fuori della maggioranza Von der Leyen dopo il mancato supporto per il rinnovo della presidente di Commissione. Alla luce di questo scenario, resta da capire che strategia adotterà l’Italia per reinstaurare la persa complicità con le istituzioni europee, senza le quali la realizzabilità del Piano Mattei risulta meno probabile.

In secondo luogo, gli sviluppi interni al Continente africano restano da monitorare attentamente, dati i vari fattori di rischio presenti. In particolare, come sottolineato da analisti dell’Ispi già nello scorso dicembre, la vera prova del nove del Piano Mattei sarà lo sviluppo della situazione in Tunisia. Il Paese ha infatti gradualmente sostituito la Libia come punto di partenza principale per i migranti che tentano di raggiungere l’Europa tramite l’Italia. Perché la visione della Meloni di un modello efficace di collaborazione e sviluppo tra l’Europa e i Paesi africani possa realizzarsi con successo, la Tunisia sarà decisiva. Altro Paese da tenere sotto osservazione è l’Algeria, cruciale per gli interessi energetici italiani, soprattutto alla luce delle elezioni presidenziali di settembre e delle loro possibili implicazioni. 

Un rischio concreto di fallimento

Tanto è il potenziale del Piano Mattei quanto il rischio che si riveli privo di sostanza. L’assenza di chiarezza, le lacune nella trasparenza, e le preoccupazioni dei partner africani sollevano dubbi significativi. È lecito chiedersi se il governo Meloni saprà superare queste sfide, realizzando le proprie ambizioni e trasformando il Piano Mattei in risultati concreti e sostenibili, o se si rivelerà essere un’altra grande visione priva di reale attuazione, incapace di rispondere alle esigenze dei partner africani e alle pressioni internazionali.

 

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