Le politiche del lavoro devono essere investimenti e non spese. Solo così possiamo pensare di valorizzare i nostri territori. Il Blog di Innovazione e Apprendimento ripubblica un articolo di Ugo Calvaruso e Roberta Bruno, pubblicato su Il Quotidiano del Sud.
Sviluppare infrastrutture e servizi sui territori
Oggi è diventato di fondamentale importanza sviluppare le infrastrutture e i servizi avanzati sui territori. Le trasformazioni tecnologiche e organizzative hanno reso necessaria la messa a punto di politiche del lavoro attive. Questo non significa semplicemente spendere , ma investire in risorse economiche europee e statali al fine di sviluppare le infrastrutture e i servizi sui territori. La cultura italiana attua prevalentemente politiche del lavoro passive, diventando così improduttiva. Ha comportato, infatti, spese e costi senza permettere lo sviluppo delle risorse naturali e culturali presenti sui territori.
In questi anni si è resa manifesta come le politiche attive siano spesso utilizzate in modo improprio. Questo non ha stimolato lo sviluppo dei territori, dalle tradizioni al rispetto delle risorse naturali. Non è facilitata la diffusione del progresso tecnologico, delle infrastrutture e dei servizi avanzati.
Le politiche del lavoro attive in Italia sono sempre state il fanalino di coda di tutte le politiche a sostegno del lavoro in generale. Si è molto puntato sui sussidi e poco sull’incentivazione al lavoro, sullo sviluppo di competenze e sulle capacità di progettare e costruire il futuro. Questo ha creato una forma di afasia e ha alimentato le logiche del sottosviluppo. La capacità dei lavoratori non è stata messa nelle condizioni di produrre valore per i propri territorio. Ciò non ha permesso lo sviluppo sul proprio territorio per la produzione di prodotti e l’erogazione di servizi ad alto contenuto conoscitivo, valorizzando comunità e genius loci. Ovviamente in un sistema portato alla realizzazione dei profitti questo processo risulta un’arma a doppio taglio.
Sussidio, formazione e futuro
Per costruire il futuro bisogna attivare politiche attive che valorizzino la formazione più dei sussidi. Le vere tutele dei lavoratori nel XXI non sono più le forme di passività, come il sussidio per la mera sopravvivenza. Sono piuttosto la garanzia di poter usufruire di una formazione altamente qualificata, di un aggiornamento continuo per l’implementazione delle proprie competenze e lo sviluppo professionale. La formazione non deve essere più fatta solo per le categorie lavorative manageriali. Bisogna fare formazione di livello anche e soprattutto per quelle medio-basse.
Per l’Italia, in particolar modo per il Mezzogiorno, il fenomeno di spese passive e avulse dai contesti sono preponderanti. Il Professor Maurizio Del Conte, Presidente Afol Metropolitana, ritiene che le politiche passive del lavoro sono concentrate soprattutto sulla tutela passiva del posto di lavoro. Ma, invece, dovrebbero essere focalizzate sull’investimento attivo. Nella maggior parte dei casi, le politiche attive italiane regrediscono in una forma di “passività”, diventando spese, piuttosto che investimenti.
Bisogna, dunque, fare in modo che aumenti la qualità degli investimenti. Solo così è possibile sviluppare e diffondere infrastrutture adeguate e tecnologicamente avanzate, oltre che servizi che valorizzino tradizioni e risorse naturali dei territori.
Investimenti in tecnologie, sistemi organizzativi e formazione
Gli investimenti in tecnologie, sistemi organizzativi e formazione sono diventati essenziali.
Investire in nuove tecnologie e sistemi organizzativi facilita lo sviluppo e la diffusione del progresso, delle infrastrutture e dei servizi avanzati. Infatti, affinché le nuove tecnologie siano introdotte e impiegate in modo adeguato, è necessario non solo adottare modelli socio-organizzativi più innovativi e sviluppare nuove competenze, ma anche aprire nuovi mercati per lo scambio dei prodotti.
Certo, non è semplice definire per i vari territori italiani quali sono gli investimenti più utili. Perché investire sulle tecnologie e gli aspetti organizzativi non basta. Bisogna investire sulle capacità di analisi e di progettazione. Queste abilità devono essere sostenute attraverso azioni formative.
La digital transformation e i diversi fenomeni di lavoro stanno cambiando ilmodo di intendere la produzione di beni e di servizi, e definendo un nuovo modo di vivere, di lavorare e, anche, di apprendere.
L’apprendimento e la formazione, pertanto, diventano di fondamentale importanza per lavorare sulle competenze e le abilità dei lavoratori, affinché riescano ad adattarsi ai cambiamenti sempre più veloci. Le politiche del lavoro non possono permettersi di non leggere questi cambiamenti, ed immaginare nuovi progetti da mettere in campo per rendere le azioni mirate e più efficaci.
Formazione come life long learning
La formazione continua, il cosiddetto life long learning, diventa un’esigenza fondamentale. L’epoca in cui ci troviamo è caratterizzata dalla decadenza della formazione, causata dalla sua “standardizzazione” e commercializzazione, che l’hanno resa una spesa piuttosto che un investimento. In altri termini, è necessario capire che l’obiettivo della formazione non è più solo rispondere formalmente a dei bandi, quanto piuttosto rispondere alle esigenze territoriali. In conclusione, si può affermare che le politiche del lavoro e la formazione non devono supportare meramente l’introduzione e la permanenza del lavoratore nel mercato del lavoro, ma lo sviluppo e l’ammodernamento dei territori.